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NEW ORDER sbarca in USA!

Posted in Movies, News with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on febbraio 27, 2013 by bloggergeist

Finalmente è ufficiale. Sarò di parte, ma la notizia fa sperare non solo gli appassionati di cinema di genere, ma tutti quelli che credono ancora che un nuovo cinema italiano, lontano dalle dinamiche di finto mercato e di inciuci e conoscenze, sia possibile. E’ infatti da una decina di giorni che il film indipendente di Marco Rosson, “New Order”, è stato acquistato e distribuito dalla Acort International e dalla Midnight Release  . Il film, uno sci-fi apocalittico, girato in inglese, non solo è già disponibile sui maggiori siti sia home video che on demand ma vedrà la luce anche in alcune sale degli States. I primi dati dicono anche che il film stia già dando i suoi frutti, in alcuni siti è infatti già esaurito.

 

Insomma un “nuovo ordine” per il cinema indipendente italiano è cominciato, e la bandiera la porta Marco Rosson, un film costato 30mila euro, senza aiuti statali, senza aiuti regionali, senza produttori, senza l’aggancio politico, senza velleità pseudo artistiche. Attori esordienti che ben figurano al fianco di un ottimo David Wurawa, (attore di film e fiction austriaco/tedesche) e soprattutto della leggenda FRANCO NERO che da subito ha visto in Rosson la passione che manca al cinema nostrano finto d’autore e impelagato nella commedia più becera e piatta senza via d’uscita. Lo stesso Nero è co-produttore con il regista, lui, Franco, considerato un mito in USA, uno che viene pregato da Tarantino in persona per fare un cameo e che in Italia viene considerato meno delle vallette da fiction di mezzogiorno.

Dunque è questa la nuova via. Girare, con i mezzi che si hanno, con un’ idea che non deve essere geniale, ma semplicemente visivamente efficace, di genere per conquistare un proprio pubblico (e perché no, per tentare di fare quello che vi diverte davvero) e riferita al 90% del pubblico. Ovvero quello non di lingua italiana.

Vi lascio con un  bell’articolo di Andrea Gatti Casati che parla proprio del nostro New Order, e vi segnalo l’uscita in DVD, questa volta in Italia, della raccolta horror Fantasmi prodotta da un altro portabandiera del cinema (horror) indipendente italiano, ovvero Gabriele Albanesi.

Alessio De Nicola

New Order – Commento Andrea Gatti Casati

Un nuovo ordine è possibile. Difficile, però, prenderne coscienza. Questione di scelte: giuste o sbagliate, composte o fuori luogo. Nel film di Marco Rosson, alla sua prima esperienza in un lungometraggio, di scelte ce ne sono molte. Scelte coraggiose. Lingua inglese e sottotitoli, un lungo – e ben pensato – piano sequenza d’apertura, un fucile che non spara, una trama ad incastro scandita da soggettive e occhi indiscreti, un silenzio assordante, il racconto del sociale attraverso l’onirico, un finale brusco. Un senso generale di disagio.

Scorre piano New Order, come una canzone psichedelica che è impossibile interrompere: ti guida e non ti fa chiudere occhio. Un film da seconda serata, destinato a chi piace torturarsi sul divano resistendo alla voglia di chiudere gli occhi e provando piacere per questo. Destinato a chi sono piaciuti i personaggi e le atmosfere di The Cube, il concept di The Experiment, le paranoie di Pi Greco (il cui autore -D. Aronofky – viene ringraziato nei titoli di coda).

I colori delle immagini sono freddi, per gli interni, e semi-freddi (!), per l’esterno. Come se fuori dalle nostre case ci attendesse una qualche cosa in più, come se ci fosse una speranza che però non riusiamo a raggiungere e che ci fa paura. Come se sapessimo, in fondo, che dentro o fuori è lo stesso: che da soli o in compagnia il nostro vuoto non può essere colmato. La nostra pazzia non può essere sanata. Oltre il blu delle pareti, anche il rosso della campagna che si prepara all’inverno mantiene un’anima fredda, ricordando quei guanti di pelle nera indurita in cui, posandosi ghiaccio e brina, non riescono più a scaldarti le mani.

Lo sa lo spettatore e lo sa bene il Dottor Ward, tragico protagonista assente del film, la cui sola immobile presenza condiziona il susseguirsi degli eventi, poggiati su di un virus e su un piccolo gruppo di sopravvissuti in costante monitoraggio.

Molto buona la recitazione. Franco Nero, nome di spicco della pellicola, suggerisce intensità, riportando sullo schermo un classico ormai intramontabile: il dottore dal nome improbabile- Cornelius Van Morgan – e dall’accento straniero, pazzo nei suoi intenti ma lucido nei movimenti.

I restanti cinque personaggi rappresentano invece la rottura degli schemi. Il nuovo ordine, appunto. Protagonisti che si alternano: un narratore che passa il testimone scomparendo prematuramente (Psyco?), una donna che calamita su di sé violenza gratuita, soggetti consapevoli del proprio demone.

Siamo tutti in attesa di risposte ma allo stesso tempo abbiamo paura di ciò che potrebbero svelare, in puro stile fantascienza.

E’ su questo modo di interpretare la paura che il regista si guadagna la fiducia dello spettatore. Un’arma non fa paura solo nel momento in cui parte lo sparo.

I piccoli difetti di edizione e la mancanza di effetti speciali vengono accantonati grazie alla credibilità che la pellicola si guadagna, con forza, scena dopo scena. E’ una chitarra che entra direttamente in un amplificatore distorto e rumoroso: niente coperture, niente maschere, ma il contatto diretto tra il suonatore e il suonato. Il risultato è una musica brutale, che non risente certo di una valvola traballante o di un cono sovraeccitato.

Solo il finale meriterebbe più attenzione, più respiro: il climax sale al punto giusto, le risposte arrivano, è il momento di Franco Nero e di una riflessione che sa di contemporaneo. Altri registi avrebbero scelto di allungare di molto il minutaggio per viversi il momento.

Rosson decide di optare per il contropiede, colpendo il pubblico prima che possa ripararsi, prima che riesca a coprirsi il viso e i punti vitali. Può essere la scelta giusta, il rischio è che non vengano colti i risvolti più interessanti.

Il budget per la realizzazione è purtroppo scarno (30 mila euro e 12 operatori), ma lo sviluppo narrativo, l’ispirazione tecnica e, soprattutto, la buona sceneggiatura, fanno la differenza.

E’ un film di cui si sente il carattere. Carattere, che neanche i soldi possono comprare.

Ultima annotazione: locandina da grande distribuzione.

Andrea Gatti Casati

L’Albero delle fate

Posted in Stories with tags , , , , , , , , on ottobre 12, 2010 by bloggergeist

Una volta una fata abitante dei boschi smarrì la strada di casa. Si era messa a seguire le lucciole e si era spinta fino alla vallata. Non sapendo come tornare indietro, vide, in fondo alla gola un villaggio che da quella distanza pareva così piccolo. Sarà un altro villaggio di fate, chiederò a loro come tornare! Pensò lei, librandosi in aria. Vibrando le piccole ali si diresse curiosa verso le luci. Ma man a mano che si avvicinava al paese questo diventava sempre più grande. Che sia un villaggio di esseri umani? Rimuginava fra sé. Per fortuna non c’era anima viva in giro. Doveva andarsene al più presto pensò, gli esseri magici non dovevano per nessun motivo venire a contatto con gli umani e con i loro manufatti. Qualsiasi cosa avesse toccato di costruzione umana le avrebbe fatto perdere l’immortalità che tutte le creature della fantasia possiedono. Ad un tratto rivolse l’attenzione verso un presepe al centro della piazza. Si incuriosì e si avvicinò.

Era così bello ammise la fatina, assomigliava al suo piccolo villaggio , solo che i suoi immobili abitanti non brillavano come le fate. Gironzolando nel presepe vide la statuina di un pastorello col cappello e il bastone che faticosamente risaliva il sentiero. La fatina fu rapita dalla bellezza della statuina. Cominciò a svolazzare intorno al pastorello, illuminandolo con la polvere di fata, continuò ad ammirarlo e fu così che se ne innamorò. Come posso innamorarmi di una cosa inanimata? Io che sono la più bella fra le fate? Non riusciva a capacitarsi. Eppure se n’era invaghita. Rimase lì fino alle prime luci dell’alba a sospirare verso il suo bel pastorello.

I primi rumori di vita nel villaggio la portarono via bruscamente dal suo sogno impossibile. Approfitterò delle luci dell’aurora per ritrovare il villaggio delle fate! Pensò e si avviò verso il bosco di abeti, sicura che la notte seguente sarebbe tornata ad ammirarlo. Lo guardò un ultima volta e rapidamente si dileguò. Al villaggio raccontò tutto alla sua fatina confidente che preoccupata le ricordò cosa rischiava a stare in un luogo abitato da umani. Certo che lo sapeva! Promise all’amica di tanti voli, che non ci sarebbe più tornata in quel posto pericoloso e si diedero appuntamento per quella notte così avrebbero inseguito insieme le lucciole fra i cespugli. Ma il desidero della fatina era troppo forte. Quella notte non si presentò all’appuntamento ma svolazzò di nuovo verso la valle.

Il villaggio era come sempre immerso nel sonno. Con uno sbatter d’ ali la fata arrivò al presepe. Si posò su una pietra e desiderosa cominciò a guardare intensamente il pastorello. Ad ogni sguardo le ali le vibravano ricoprendola di dorata polvere di stelle. Perchè non può essere vero? Cercò volteggiando di ricoprire la statuina di polvere di stelle, che poteva guarire da qualsiasi ferita, chissà se avrebbe funzionato con le ferite del cuore. E volteggiando e volteggiando aveva coperto tutta la statuina con la sua polvere. E’ inutile. Non riuscirò mai a rendere vero il mio amore! La fatina, ancora in volo, cominciò a piangere disperatamente, convinta che mai è poi mai il suo sogno si sarebbe realizzato. Le lacrime brillanti come pietre preziose caddero sulla statuina. La polvere di fata, bagnata dalle lacrime creò una sorta di bozzolo intorno al pastorello, come fosse diventato uno splendido baco di seta dorata. La Fata assistette incredula alla scena. All’improvviso il baco cominciò a rompersi e… meraviglia! Il pastorello si era animato.

Spaesato l’ometto si guardò intorno e poi in alto e vide finalmente la fatina, con gli occhi di chi può davvero vedere. Sei così bella e luminosa! Disse il pastorello emozionato. La fata svolazzava da una parte all’altra per la felicità. Un battito d’ ali ed era di fronte al suo inaccessibile amore. Cos’è questa strana sensazione? Domandò la statuina all’esserino alato. Significa che sei vivo! Rispose la fatina felice. E’ incredibile! Tu mi hai fatto il regalo più grande! Anche io voglio regalarti qualcosa, le disse il pastorello. Io voglio regalarti un bacio! Mi spiace ma sei stato forgiato da mano umana ed io non posso in nessun modo accostarmi a te mio dolce ometto. Le ribattè lei con tenerezza. Ma come? E ora cos’è questo dolore? Si toccò il cuore. Lo so, rispose la fatina, è quello che provavo anche io quando nn potevo parlarti! I due piccoli esseri si guardarono intensamente, colmi di desideri impossibili da realizzare, ma raggianti di potersi amare davvero. Ma anche per gli esseri magici la realtà è più crudele di quanto possa sembrare.

Un leggero vento si era alzato durante la notte, e la fatina consigliera, non vedendo arrivare la sua fidata compagna si mise in testa di cercarla, appropinquandosi verso la valle e il villaggio. La stessa brezza notturna era passata anche al paese degli umani. La fatina dorata, troppo presa dal suo pastorello animato non si curò della folata che, senza preavviso, la spintonò verso la statuina. L’ometto in un gesto istintivo l’afferrò per non farla cadere al suolo, si guardarono e gli sguardi da desiderosi d’amore diventarono colmi di angoscia e impotenza. La fatina avvicinò il viso allo spaventato pastorello e con un ultimo gesto lasciò che le sue labbra sfiorassero quelle della sua metà. Poi una morsa al cuore, la luminosa aura della fatina cominciò lentamente ad affievolirsi, mentre la statuina cercava di tenerla fra le braccia, ma anche lui andava irrigidendosi, come se non potesse più muoversi. La fatina consigliera intanto era arrivata al villaggio, ma troppo tardi. Non potè far altro che assistere alla terribile scena.

Il pastorello si pietrificò davanti al suo sguardo inerme, mentre la sua compagna sbattè per l’ultima volta le minute ali oro e arcobaleno. L’aura della piccola creatura si spense definitivamente. I suoi colori sgargianti divennero grigi, fino a diventare cenere. La fatina consigliera, in preda alla disperazione, volò veloce verso il villaggio delle fate per raccontare l’accaduto. Visto che era ancora notte e gli umani dormivano, le fatine decisero di recarsi subito sul luogo del tragico avvenimento. Quando giunsero nel paesino degli umani videro che dalle ceneri della fata era cresciuto un giovane abete, l’albero che circonda i villaggi fatati. E così, per ricordare la loro dolce compagna si posarono tutte sui rami dell’abete, a piangere la povera sventurata. Le fatine erano così luminose e le loro lacrime così brillanti che svegliarono gli abitanti del paese convinti che fosse già giorno. Quando uscirono fuori dalle case gli uomini non credettero ai loro occhi! Nel bel mezzo della piazza era cresciuto un albero rigoglioso che emanava una meravigliosa luce di diversi colori, le aure delle fate infatti, brillano ognuna di un colore diverso.

Quel bagno di luce riscaldò il cuore di tutti che rimasero estasiati dal regalo che le fate involontariamente avevano fatto loro. Da quel giorno al paese decisero che ogni natale avrebbero illuminato quell’albero forte e rigoglioso in ricordo della fatina che si era spenta, sacrificandosi per ciò che non avrebbe mai potuto avere.